L’Arcivescovo Giacomo Morandi apprezza che si sia aperto un dibattito sull’impegno dei cattolici in politica a partire dalla sua comunicazione relativa alla campagna elettorale e ai ministri laici della Chiesa.
Se la posizione espressa dal pastore è stata chiara e concisa, il fraintendimento montato tramite i media da qualche dissenziente è apparso invece confuso e insistito.
Vediamo di andare con ordine. All’inizio di febbraio monsignor Morandi ha indirizzato al Vicario Generale e ai parroci della Diocesi una comunicazione in cui, tra l’altro, scriveva di ritenere “opportuno disporre che quanti intendano candidarsi in qualsiasi lista alle prossime elezioni (europee e amministrative dell’8 e 9 giugno 2024, ndr) debbano dimettersi da ruoli di responsabilità ricoperti in diocesi o nelle parrocchie; pertanto, saranno senz’altro declinati gli incarichi pastorali diocesani o quelli nei consigli parrocchiali. Con l’occasione rinnovo tale divieto anche per coloro che rivestono mandati ministeriali”.
La posizione della Chiesa di Reggio Emilia-Guastalla, riguardante catechisti, lettori, accoliti e ministri straordinari dell’Eucarestia, è sintetizzata tra l’altro dalle FAQ pubblicate sul sito web diocesano… ma nel frattempo la circolazione del testo era già uscita dai canali consoni, con conseguente chiacchiericcio.
“Dispiace – commenta monsignor Morandi – che la lettera riservata ai parroci sia stata strumentalizzata a fini impropri e polemici”. Dispiace ma, ai tempi delle chat, non sorprende più di tanto. Ciò che amareggia è che la posizione diocesana sia stata in alcuni casi travisata, al punto da stravolgerne senso e finalità.
“Quello che non comprendo – dice ancora l’Arcivescovo – è che si sia arrivati a evocare il Non expedit di Pio IX, quindi il divieto ai cattolici di partecipare alle elezioni e in genere alla vita politica dello Stato italiano: utilizzare questa citazione significa dare un’interpretazione non corretta, fuorviante e capziosa, che denota peraltro l’ignoranza della storia e di quello specifico provvedimento, che nasceva nel contesto di rapporti conflittuali fra Stato e Santa Sede. Il provvedimento pastorale che ho adottato infatti esprime esattamente l’intenzione opposta, cioè che i cristiani che sentono la vocazione al servizio politico possano seguirla con pieno diritto, liberamente e responsabilmente, nella consapevolezza che sia il ministero di natura ecclesiale che l’impegno politico chiedono un coinvolgimento totalizzante di tempo e risorse, dunque è bene siano nettamente distinti”.
Chiarezza di ambiti, dunque, per una disposizione prudenziale e temporanea dettata a monsignor Morandi da un sano realismo, a partire da elementi di fatto oggi incontrovertibili quali la frammentazione dei cattolici in tutte le forze partitiche e la sistematica polarizzazione di opinioni e appartenenze.
La finalità? “Evitare che da entrambe le parti possano esserci strumentalizzazioni dei ruoli ricoperti e si trasferisca nelle parrocchie la conflittualità tipica dell’agone politico, alimentando quelle polemiche e contrapposizioni che in campagna elettorale sono all’ordine del giorno”.
Nel panorama delle Diocesi italiane la posizione della Chiesa reggiano-guastallese non costituisce un’eccezione. “Chi si candida in qualsiasi lista alle prossime elezioni comunali dovrà dimettersi dai ruoli di responsabilità svolti in diocesi, lasciando i rispettivi incarichi sia nel consiglio pastorale diocesano che nei consigli parrocchiali… Non vorrei, infatti, che le chiese e le parrocchie possano diventare luoghi di campagna elettorale”: a esprimersi così, in un’intervista al Qn del 28 gennaio scorso, è monsignor Gianpiero Palmieri, vescovo di Ascoli Piceno e vicepresidente della Conferenza Episcopale Italiana per il Centro Italia.
L’indicazione data dal vescovo Giacomo chiama in causa i parroci, invitandoli a una saggia valutazione con i fedeli interessati, ove afferma: “Questo indirizzo deve essere mediato dal parroco, in un dialogo”; peraltro l’indirizzo diocesano non è rivolto ai membri laici delle associazioni e dei movimenti ecclesiali ed è inteso che la non elezione della persona candidata che si è dimessa dagli incarichi ecclesiali porrà termine alla sospensione.
Chiariti i destinatari del provvedimento, monsignor Morandi ci tiene a richiamare il “necessario impegno” dei cristiani per il bene comune – formulato spesso anche da Papa Francesco – secondo quella definizione (che Paolo VI desunse da Pio XI) della politica come la più alta forma di carità e gli orientamenti definiti dalla Dottrina sociale della Chiesa.
ALCUNE FAQ
1) I Cattolici devono continuare ad impegnarsi in prima persona nelle competizioni politiche?
Sì, certamente. Occorre però avere presente la distinzione dei ruoli e dei servizi resi nella comunità ecclesiale da quelli nell’ambito civile.
Papa Francesco ha scritto: “la politica, tanto denigrata, è una vocazione altissima, è una delle forme più preziose di carità, perché cerca il bene comune” (Evangelii Gaudium, 174).
2) Perché l’Arcivescovo è intervenuto sul tema delle elezioni politiche?
Ha inteso ricordare che quanti stanno svolgendo servizi nella Chiesa si impegnino in ciò in modo esclusivo. È poi essenziale che le attività tipiche della comunità cristiana (culto, catechesi, carità e misericordia) non siano confuse con attività di promozione partitica.
3) Dunque catechisti, lettori, accoliti e ministri straordinari dell’Eucarestia, qualora intendano candidarsi in vista delle elezioni politiche, dovranno sospendere il proprio servizio?
Sì. In questo modo si eviteranno contrapposizione e tensioni frutto dell’appartenenza all’uno o all’altro degli schieramenti.
4) Come affrontare casi dubbi?
Se la persona vorrà candidarsi sarà quantomeno inopportuno che mantenga i ruoli in parrocchia. Questo indirizzo deve essere mediato dal parroco, in un dialogo, non quale ordine impartito dall’alto.
5) Ciò vale anche per i diaconi?
Certamente. Il diritto canonico prevede espressamente per i chierici: “Non abbiano parte attiva nei partiti politici e nella direzione di associazioni sindacali (…)” (Can. 287 §2).
6) È possibile accogliere in chiesa o negli ambienti parrocchiali, nonché loro pertinenze, incontri o dibattiti in vista delle elezioni?
No. Tale ambienti devono restare luoghi deputati al culto, alla catechesi e alla carità.